domenica 1 settembre 2013

Appunti sull’osservazione del cielo

Mi sono comprato un telescopio.

I motivi sono diversi. Per quanto sia sempre stato sensibile al fascino dello spazio, fin qui non avevo mai veramente pensato di osservare il cielo. La spinta immediata è stata l’idea che era un peccato non sfruttare il bel cielo stellato di cui si gode dalla mia casa sui colli lucchesi. Non c’è il buio perfetto, ma c’è un bel buio. In una normale notte serena si vede la Via Lattea ad occhio nudo, impossibile da vedere dalla città e ormai ignota ai più. Se mi spostassi solo di pochi chilometri troverei il buio perfetto, ma mi accontento di fare l’astrofilo pantofolaio, che non fa altro che piazzare il telescopio nel cortile di casa.

Un altro motivo è che in cielo si incastra una convergenza di interessi e passioni che vanno al di là della semplice osservazione. C’è la fisica dell’estremamente grande e quella dell’estremamente piccolo, la gravitazione e la meccanica quantistica, la chimica con tutte le sue tecniche spettroscopiche. C’è il mistero radicale dell’universo e, almeno simbolicamente, ogni altro mistero possibile. Ci sono lo spazio e il tempo. C’è la realtà e c’è la fantasia sfrenata, fatta non tanto di finzione ma della vertiginosa meraviglia del possibile. C’è infine un incrocio storico-culturale che ha accomunato nell’osservazione del cielo tutte le culture di ogni tempo e di ogni luogo. Per dire: per le costellazioni seguiamo la tradizione greca, ma molte singole stelle hanno un nome arabo.

Quando si compra un telescopio la prima fase non ha tanto a che fare col cielo, ma con lo strumento. Bisogna domare lo strumento. Per quanto entry level, un telescopio è pur sempre uno strumento ottico di precisione, e come tale va trattato. Su internet è pieno di neofiti scoraggiati, che dopo aver acquistato il telescopio sull'onda dell’entusiasmo non riescono poi a sfruttarlo a dovere. Fortunatamente non sono nuovo a strumenti di precisione, per cui arrivo allo scontro preparato.

La sfida strumentale che pone un telescopio è quella di inquadrare l’oggetto che si vuole osservare. Un telescopio inquadra una porzione di cielo molto piccola, e centrare il bersaglio, generalmente invisibile a occhio nudo, in mezzo a un mare di altre stelle e stelline non è propriamente un’operazione banale. Oggi ci sono telescopi computerizzati che puntano automaticamente, ma per come la vedo io è come andare a pescare e avere una canna automatica che pesca al posto tuo.

E dunque come sta andando? Diciamo discretamente, se no non avrei neanche iniziato a scrivere queste righe.

Ci sono vari sistemi per effettuare il puntamento, e ho sbattuto il muso su tutti prima di arrivare a una mia procedura vagamente funzionante.

Un primo metodo è quello di sfruttare le coordinate celesti. Essenzialmente, in cielo vige un sistema di coordinate analogo a quello che si usa per la superficie terrestre, a base di latitudine e longitudine. Per cui basta sapere le coordinate dell’oggetto desiderato e puntare, giusto? Sbagliato. Perché il cielo è una sfera che gira. E se è vero che ogni punto ha le proprie coordinate sulla sfera celeste, devo prima sapere in quale posizione si trova la sfera. E dunque? Dunque mi serve un riferimento. Quel che posso fare è inquadrare “a vista” una stella nota di cui si conoscano le coordinate, e in base a queste calcolare la posizione della stella che voglio osservare. A questo fine il telescopio ha due cerchi graduati sugli assi di rotazione, ma in uno strumento entry level come il mio la precisione non è molto elevata. Pazienza, mi dico. Faccio un paio di calcoli, stimo l’errore sulla misura e metto a punto una procedura per “spazzare” sistematicamente con l’oculare tutto il campo visivo interessato. A volte funziona. Il problema è che, una volta passato alla visione ravvicinata, l’oggetto che cerchi deve essere facilmente identificabile, o in alternativa deve esserlo qualche altro punto di riferimento che, in quello spazietto così piccolo eppure così grande, possa usare per “navigare” fino al bersaglio. Una carta stellare aiuta, ma se non trovi un riferimento a cui agganciarti è tutto inutile.

Un altro metodo è il cosiddetto “star hopping”. È una procedura puramente visiva per cui, saltando di stella in stella, sempre con l’aiuto di un atlante stellare, si arriva fino al bersaglio. Il problema è che per usare questa tecnica occorrono o un oculare grandangolare (che esiste, ma costa uno sproposito), oppure un buon cercatore, che è un piccolo cannocchialino affiancato al telescopio vero e proprio e il cui scopo è proprio permettere puntamenti grossolani.
Il mio cercatore però è la morte in Terra. Sembra di guardare dal buco di una serratura, per non parlare delle posizioni da contorsionista necessarie per usarlo.


E dunque alla fine come faccio? Con un mix di tutte le tecniche di cui sopra, con qualche variante personale. Il cercatore lo uso solo per inquadrare la stella polare e allineare il telescopio. L’osservazione la preparo visivamente a occhio nudo, cercando, con l’aiuto di una carta stellare, di individuare nel modo più preciso possibile la zona di cielo in cui puntare. Il puntamento vero e proprio lo faccio con l’aiuto di un puntatore laser (un oggettino da non più di venti euro) appoggiato al tubo del telescopio. Da lì in avanti passo all’esplorazione con l’oculare, ripetendo il tutto all’occorrenza. Tiè.

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