Mi sono comprato un telescopio.
I motivi sono diversi. Per quanto sia sempre stato sensibile
al fascino dello spazio, fin qui non avevo mai veramente pensato di osservare
il cielo. La spinta immediata è stata l’idea che era un peccato non sfruttare
il bel cielo stellato di cui si gode dalla mia casa sui colli lucchesi. Non c’è
il buio perfetto, ma c’è un bel buio. In una normale notte serena si vede la
Via Lattea ad occhio nudo, impossibile da vedere dalla città e ormai ignota ai
più. Se mi spostassi solo di pochi chilometri troverei il buio perfetto, ma mi
accontento di fare l’astrofilo pantofolaio, che non fa altro che piazzare il
telescopio nel cortile di casa.
Un altro motivo è che in cielo si incastra una convergenza
di interessi e passioni che vanno al di là della semplice osservazione. C’è la
fisica dell’estremamente grande e quella dell’estremamente piccolo, la
gravitazione e la meccanica quantistica, la chimica con tutte le sue tecniche
spettroscopiche. C’è il mistero radicale dell’universo e, almeno
simbolicamente, ogni altro mistero possibile. Ci sono lo spazio e il tempo. C’è
la realtà e c’è la fantasia sfrenata, fatta non tanto di finzione ma della
vertiginosa meraviglia del possibile. C’è infine un incrocio storico-culturale
che ha accomunato nell’osservazione del cielo tutte le culture di ogni tempo e
di ogni luogo. Per dire: per le costellazioni seguiamo la tradizione greca, ma
molte singole stelle hanno un nome arabo.
Quando si compra un telescopio la prima fase non ha tanto a
che fare col cielo, ma con lo strumento. Bisogna domare lo strumento. Per
quanto entry level, un telescopio è pur sempre uno strumento ottico di
precisione, e come tale va trattato. Su internet è pieno di neofiti scoraggiati,
che dopo aver acquistato il telescopio sull'onda dell’entusiasmo non riescono
poi a sfruttarlo a dovere. Fortunatamente non sono nuovo a strumenti di
precisione, per cui arrivo allo scontro preparato.
La sfida strumentale che pone un telescopio è quella di inquadrare
l’oggetto che si vuole osservare. Un telescopio inquadra una porzione di cielo
molto piccola, e centrare il bersaglio, generalmente invisibile a occhio nudo,
in mezzo a un mare di altre stelle e stelline non è propriamente un’operazione banale.
Oggi ci sono telescopi computerizzati che puntano automaticamente, ma per come
la vedo io è come andare a pescare e avere una canna automatica che pesca al
posto tuo.
E dunque come sta andando? Diciamo discretamente, se no non
avrei neanche iniziato a scrivere queste righe.
Ci sono vari sistemi per effettuare il puntamento, e ho
sbattuto il muso su tutti prima di arrivare a una mia procedura vagamente
funzionante.
Un primo metodo è quello di sfruttare le coordinate celesti.
Essenzialmente, in cielo vige un sistema di coordinate analogo a quello che si
usa per la superficie terrestre, a base di latitudine e longitudine. Per cui
basta sapere le coordinate dell’oggetto desiderato e puntare, giusto? Sbagliato.
Perché il cielo è una sfera che gira. E se è vero che ogni punto ha le proprie
coordinate sulla sfera celeste, devo prima sapere in quale posizione si trova
la sfera. E dunque? Dunque mi serve un riferimento. Quel che posso fare è inquadrare
“a vista” una stella nota di cui si conoscano le coordinate, e in base a queste
calcolare la posizione della stella che voglio osservare. A questo fine il
telescopio ha due cerchi graduati sugli assi di rotazione, ma in uno strumento
entry level come il mio la precisione non è molto elevata. Pazienza, mi dico.
Faccio un paio di calcoli, stimo l’errore sulla misura e metto a punto una
procedura per “spazzare” sistematicamente con l’oculare tutto il campo visivo
interessato. A volte funziona. Il problema è che, una volta passato alla
visione ravvicinata, l’oggetto che cerchi deve essere facilmente
identificabile, o in alternativa deve esserlo qualche altro punto di
riferimento che, in quello spazietto così piccolo eppure così grande, possa
usare per “navigare” fino al bersaglio. Una carta stellare aiuta, ma se non
trovi un riferimento a cui agganciarti è tutto inutile.
Un altro metodo è il cosiddetto “star hopping”. È una
procedura puramente visiva per cui, saltando di stella in stella, sempre con
l’aiuto di un atlante stellare, si arriva fino al bersaglio. Il problema è che
per usare questa tecnica occorrono o un oculare grandangolare (che esiste, ma
costa uno sproposito), oppure un buon cercatore, che è un piccolo
cannocchialino affiancato al telescopio vero e proprio e il cui scopo è proprio
permettere puntamenti grossolani.
Il mio cercatore però è la morte in Terra. Sembra di
guardare dal buco di una serratura, per non parlare delle posizioni da
contorsionista necessarie per usarlo.
E dunque alla fine come faccio? Con un mix di tutte le
tecniche di cui sopra, con qualche variante personale. Il cercatore lo uso solo
per inquadrare la stella polare e allineare il telescopio. L’osservazione la
preparo visivamente a occhio nudo, cercando, con l’aiuto di una carta stellare,
di individuare nel modo più preciso possibile la zona di cielo in cui puntare.
Il puntamento vero e proprio lo faccio con l’aiuto di un puntatore laser (un
oggettino da non più di venti euro) appoggiato al tubo del telescopio. Da lì in
avanti passo all’esplorazione con l’oculare, ripetendo il tutto all’occorrenza.
Tiè.